giovedì 16 giugno 2011

Muoia sotto un tram più o meno tutto il mondo.


Titolo alternativo per il cliente esigente che vuole poter scegliere:
Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma non tutti se lo ricordano.

Prendere l’autobus in pausa pranzo è come visitare un girone dantesco. 
Però fa anche bene al cuore. 
Sono in due, un maschio e una femmina, vengono posteggiati affiancati nello spazio riservato alle sedie a rotelle. Le rispettive madri si schierano una a nord dell’isola passegginara e l’altra a sud. Non si degnano di uno sguardo. 
Lui ha lineamenti arabi, non saprei essere più precisa, la madre ha il fazzoletto a coprire la testa e una lunga tunica nera. Ha i ricciolini neri, due occhi grandi e luminosi scuri come il carbone. Lei è asiatica, sua madre ha mezza tunica colorata con pantaloni abbinati che spuntano da sotto. Capelli neri liscissimi. La bimba ha i riccolini pure lei ma un po’ più lunghi del maschio e intrappolati in due fiocchi colorati. Avranno circa 4 anni.
Con la stessa forza con cui le madri si evitano i piccoli si sorridono, finché lui realizza di avere un camion nelle mani e lo porge alla bimba dicendole qualcosa nella sua lingua. Lei non capisce, aggrotta le sopracciglia, evidentemente valuta che la parola è poco importante, sorride e lo accetta dicendo qualcosa nella sua lingua. Lui non capisce, però si stira sul passeggino fino a indicarle con il minuscolo ditino qualcosa sullo sportello del camion. Lei non capisce, ma ride lo stesso e lo gira. Lui allora le ripete quelle strane parole anche per l’altro lato. E lei ride.
Si passano questo camion per tutto il viaggio, spiegandosi senza comprendersi chissà quali particolarità. Lei si appassiona anche a un gancio del passeggino di lui, e lui lesto cerca qualcosa di somigliante da farle notare sul passeggino di lei.
Le madri guardano il proprio figlio, il bimbo sconosciuto ma non hanno la forza o forse proprio il coraggio di guardare l’altra mamma. Figurarsi poi dirsi qualcosa.
Sicuramente hanno paura di non sapere cosa dire, di non comprendere la lingua dell’altra, forse pensano sia socialmente sconveniente attaccare bottone con gli sconosciuti, o tutto sommato inutile.
A nulla vale nemmeno la lezione importante e perfettamente strutturata che i bimbi gli stanno facendo. Loro che parlano senza capirsi, e che pure hanno riso e sorriso per tutto il viaggio, che hanno toccato le mani l’uno dell’altro, che hanno condiviso quello che per uno era un possesso per l’altra una novità.
E niente, io mi perdo a guardare i bimbi, che nonostante abbiano un uditorio così sordo e cieco, e spesso palesemente stupido, non perdono mai l’entusiasmo di provare a farci vedere che essere sublime potrebbe diventare l’essere umano.